Io scrivo in nero.
Talvota con una stilografica, ma senza inchiostro blu. Io scrivo in nero, non in grigio ciliegia.
Io scrivo in nero, perché non parlo - quasi mai - di astrofisica.
Io scrivo in nero, perché i miei post non hanno titoli dei libri di Stefano Benni.
Io scrivo in nero, perché Comunicare non è anche un'arte e i colori sono soggettivi.
Io scrivo in nero, perché prima di sputare sentenze e spruzzare inchiostro - nero - ausculto le parole: uno stetoscopio freddo sulla loro superficie intirizzita. E se "in pochi fanno attenzione al contenuto", probabilmente, non è perché quest'ultimo sia insignificante, ma perché lo sono questi ultimi: presunti ascoltatori, lettori, fruitori - di cosa? - di idee strapazzate, frullate, mal digerite e rigurgitate da altri; altri che non assorbono nulla, perché hanno troppa fretta di esprimere quellochessono.
Sfatiamo le interrogazioni crepuscolari e le divagazioni sulla primitività dei linguaggi. I linguaggi sono logos e dovrebbero essere comprensibili - o ritenuti tali - però dobbiamo somministrarci i nostri surrogati quotidiani di magia, di trascendenza, di originalità, di commozione, i nostri "surrogati di clava". Come ombre vuote appoggiate a un muro scrostato che ci ricorda di esistere alziamo gli occhi poco sopra la linea dell'orizzonte in cerca di lampi fisiognomici.
"El sueño de la razón produce monstruos": non ci libereremo mai del gusto dell'esotico - in un mondo in cui l'unica cosa che dovrebbe sembrarci tale potrebbe essere lo spazio siderale, Marte, i pianeti che vengono surclassati ad asteroidi... la fantascienza mi è ostile. Globalizzati e provinciali, pensiamo di poter raggiungere qualsiasi meta con un aereo, un treno o i nostri piedi - finanziati in nome di qualche idea rinvenuta considerata poetica.
Io scrivo in nero, perché - a volte - ho il coraggio di addormentarmi senza favole belle.
La felicità non è "uno stato mentale", quella era la vita.
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