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mardi 4 décembre 2012

UN TESTAMENTO


13 Luglio 1908

La signora del letto 26 questa mattina si è svegliata con un pensiero: rimuovere quelle grandi macchie del pavimento accanto al mio letto.
"Non sta bene! Gliel'ho detto al dottor Mattei!"
E’ venuta coi fazzoletti, ripassando con l’orlo della camicia da notte sporca, ma le macchie non se ne vanno. E adesso attorno al mio letto si è creato un congresso di infermieri spostatori e pulitori e parenti di pazienti che disquisiscono ad altissimi livelli su cosa possa aver creato quelle macchie.
Modera il dibattito la signora del letto 26. Io leggo e mi vengono in mente le macchie di fondi a rendere rovesciati al mercato di piazza Sant’Ambrogio.


15 Luglio 1908

La signora del letto 26 compie oggi 10 giorni nel letto 26.
Mentre facevamo la nostra passeggiatina nel corridoio, abbiamo sentito venire dalla stanzetta delle sorelle una voce forte e chiara che diceva: “Oggi si dimette la signora del letto 26.”
Lei, allora, stretta al mio braccio ha sussurrato "sorreggimi".

Corre a letto, s’infila sotto strati di coperte ancora con la vestaglia addosso e si finge addormentata. "E' per il giro dei termometri!" dice.
Top of Form
E’ di turno suor Muselina, come la chiama la signora del letto 26, che è certamente poco contenta di fare il suo mestiere e quando parla riversa tutta la sua frustrazione sui degenti.
Si chiama così perché l’altro giorno ha ripetuto a tutti la sua tremenda arrabbiatura con il cielo. Aveva steso ad asciugare un abito di mussola la mattina e ha piovuto tutto il giorno, lei era in servizio e non è potuta correre a salvarlo.

Questa sera nella stanza c'è un'aria effervescente. Non sono bastate le ingenti dosi di bromuro a far dormire i pazienti in fibrillazione: si parla di andare a messa al primo piano dello stabile. Domattina col te arriverà anche il curato, ma solo per me. 
Intanto, la signora del letto 26 è sfebbrata da quasi ventiquattro ore.
Avvicinandosi con la scusa di controllare che la vestaglia blu fosse appesa bene nel suo armadietto, mi ha confidato che sente sempre più vicine le dimissioni e controllava che tutti suoi averi fossero in ordine.
Domani mi trasferiscono in Sassonia, vogliono che sconti la pena là.


Firenze, 16 Luglio 1908

In nome della Santissima Trinità, Padre, Figliolo e Spirito Santo.
Col presente testamento, tutto scritto e sottoscritto di mia mano, dispongo della mia sostanza come segue:
1. Cedo la mia rivoltella Glisenti Modello 1872 a mia sorella Norma.
2. Dispongo che il mio cadavere sia cremato con legna di caprera e chiuso in un’urna di granito. Le ceneri saranno disperse sui colli di Fiesole.

Tale è la mia ultima volontà, che passo a sottoscrivere.
Bianca Ugolini testatrice.

***

Bianca Ugolini, di famiglia altolocata, era la figlia ventiduenne del sindaco di Vicchio, venne ghigliottinata per aver assassinato il suo fidanzato: ingegnere civile tedesco che rispondeva al nome di Hans Bach.
Durante il suo processo, la ragazza ammise di essersi recata il 13 Maggio 1908 dal giovane somministrandogli una bevanda contenente acido cianidrico. Per assicurarsi della morte della vittima, gli sparò alla bocca con il suo revolver. Cercò poi di fare apparire la scena un tragico suicidio, sviando per un mese buono le indagini della polizia.
Purtuttavia, le autorità trovarono una lettera nella quale la fanciulla confessava il crimine.
La sua esecuzione avvenne in Elbe la mattina del 23 Luglio 1908, nel cortile del Tribunale di Giustizia. Assistettero all’esecuzione circa centonovanta persone, tutte quelle che il luogo poteva ospitare.
Bianca era pallida, ma apparentemente calma. Indossava un abito nero, tagliato all’altezza del collo.

vendredi 17 août 2012

阴 阳













Ci sono tutte queste giovani scrittrici che si chiamano Giulia N., Melissa P. Caterina Q. – e la vita lo sai - Margherita F. – chissà, che fine ha fatto quella padovana? Poi c’è il mio naso che si spella e un po’ di libri sparsi attorno.

Già dopo aver letto queste tre righe si capisce che sono state scritte da una femmina. I maschi quando scrivono ci mettono subito dentro della michia o della figa - o entrambi - e ne estrapolano una morale, una teoria o un “è così che vanno le cose”. 
E poi si sforzano di fare i bruti, gli scabri, tutti vittime della sindrome di Bukowski, o di Miller – a seconda dei casi. Guardano tutte le cose con il loro lato sinistro del cervello, pretendendo che quello sia l’unico modo e il modo giusto - e le donne iniziano a bere. 
Mi viene in mente qualcosa che avevano detto a Simenon a proposito della letteratura: continuum di osservazioni e piccoli frammenti di trama.

A un mio amico hanno rubato la macchina, a Catania, mentre era andato a trovare quella che lui credeva essere la sua fidanzata - che l’ha lasciato. Ho deciso quindi di fargli risparmiare i soldi della spedizione di un libro che gli avevo prestato e lasciargli Tokyo Blues, inferendogli - forse - in tal modo una punizione ben peggiore. Sacrificare.
Lo volevo indietro perché avevo sottolineato una frase - che aveva a che fare con il vento e la corsa, come un'altra di Rilke - e mi sembrava impudico lasciare vagare quella pagina in giro con quel segno sopra, fatto da me. Poi mi serviva da esempio per scrivere un bestseller di successo e non avevo voglia di investirci il doppio ricomprandolo ed era un regalo di mia madre. Ad ogni modo, provate a coniugare "inferire" (almeno una volta).

L’elefante appena nato a Berlino assomiglia ad Harnoncurt.

samedi 7 janvier 2012

Nell'era delle improvvisazioni el(l)ettroniche e delle cinture che non stringono niente, ma sottolineano qualcosa.


Cerco pretesti per scrivere - a volte, la notte senza riuscire ad addormentarmi, oppure li raccolgo al pomeriggio. Amuleti preziosi come pulci nell’orecchio, spifferi di vento raccolti nelle orecchie camminando lungo la Senna, schizzi di vedute aeree o dettagli. Fotografie che volano via sbiadendosi, insieme alle foglie dei platani. Mi chiedo ancora cosa ci facesse quel biglietto lilla (del metrò) abbandonato lungo il Tevere, ma questa è un’altra storia. Detto questo...


Prima nota: della Normalità dell'essere umano.
Gli esseri umani non sono strani: sono esseri umani… e spesso sono prevedibili quanto le loro sceneggiature. Non sono strani nemmeno quando pensano di aver raggiunto una piccolissima (non infinitesimale) verità e la sbandierano ai quattro venti, empiendosi i polmoni di retorica e frasi fatte, rischiando di soffocarsi con una delle tante etichette con cui cercano di classificare la strana (questa - forse - sì) realtà che li circonda.La vita – intanto - per alcuni di loro non è affatto breve; la vita è un lungo, lunghissimo corso - una maledizione: un’infinita sequela di avvenimenti subiti, dei quali, lo stare seduti di fronte ad una persona alla quale non si ha nulla da dire è la minore disgrazia - anzi, è vista come un placido momento di distensione.
Gli esseri umani non sono strani, gli esseri umani cercano sempre di giudicare gli altri esseri umani dal loro punto di vista - che nel nostro caso si trova ad un altro tavolo dello stesso ristorante, seduto dietro ad un piatto fumante, con a fianco un libro aperto (che non sta leggendo) - è questo uno dei loro grandi errori.


Seconda nota: la Comunicazione.
Ecco, la comunicazione è un nome astratto estremamente sopravvalutato.Per prima cosa perché la comunicazione si nutre di - ed è composta in massima parte dal - Fraintendimento. E arrivando al parossismo, il modo migliore di comunicare è stando in silenzio ad un tavolo, dietro un menù.
Poi, "comunicazione". Chissà cosa intenderà il nostro Punto di Vista all’altro capo della stanza, sotto l’appendiabiti.
Nella civiltà dei segni ogni atto (nemmeno ogni gesto) è comunicazione, ogni scelta e ogni non-scelta lo sono, comunicano qualcosa di noi, su di noi e per noi.
Quindi, perché caricare soltanto la povera lingua parlata di codesto ingombrante fardello. Sarebbe tanto meglio - a volte - comunicare in silenzio, in scritture che prescindessero dalla fonetica.
Magari, il signore che accusa la coppietta al tavolo, non si è accorto che le sue singolarissime componenti si stanno “parlando”! Semplicemente non conosce il loro e i loro silenzi: non può discernere, non sa che dietro al loro punto di vista e davanti al loro menù ci sono almeno altre due storie, che si biforcheranno come un albero in una chioma di aneddoti-foglia, che una volta secchi cadranno, verranno calpestati, dimenticati e riascoltati sotto i loro “cric-crac”. Rospi.
Chi gli dice che si stanno facendo piedino sotto il tavolo, nascosti dalla tovaglia di nappa che cade ai bordi del tavolo creando una pubblica intimità?
Soffermiamoci dunque sul nostro solo, povero, tapino Punto di Vista.
E’ nervoso - più infastidito che triste - sente il bisogno di comunicare. Forse non ha nessun contenuto da spartire, ma vuole esprimere (spremere) qualcosa: ma non può, non c’è nessuno al suo tavolo. Nessuno che lo ascolti a cui dimostrar-si, a qui provare di essere. Tra parentesi: non si può comunicare con tutti, e non si deve, a volte. Chiusa parentesi.


Terza nota: la Solitudine.

Ha almeno due significati. Sentirsi ed essere. Essere e stare. Due e mezzo.

La solitudine non è una lebbra, la solitudine sì può cercare, si può desiderare, volere, può essere l’Obiettivo. L’arte dello schivare – decontestualizzato: die Kunst der Fugue – l’arte dello sparire, dell’evitare, lathe biosas: meglio soli che male accompagnati, lo dice il greco, lo dice il poeta, lo dice il proverbio. E caro il nostro Punto di Vista, non ci vedo nulla di veramente triste nel poter leggere un libro davanti (o dietro – dipende sempre da che punto di vista si considerano le cose) una birra media (in Germania poi non esistono, kleines oder großes - dove sei?). Peccato tu lo legga distrattamente: lo rovini, ti rovini.
E’ proprio vero, si può dire tutto e il contrario di tutto, e capire ancora meno; “basta avere la voglia, il desiderio e la carta necessari” - ancora una volta.
Improvvisamente al nostro Punto viene in mente l’Amore (chissà che libro sta leggendo e chissà cos’ha ordinato). Pensa che noi (comuni mortali o strani esseri umani?) non sappiamo che cosa sia, perché lui l’ha conosciuto - il vero amore, quello unico, irripetibile - quindi noi come potremmo anche solo immaginarcelo? Ha ragione. Un Punto! Una pacca sulla spalla - coraggio - gli esseri umani non sono strani! E tu ne sei la dimostrazione!
Trova interessanti le sue considerazioni dettate dal senso comune e mirabolanti le sue teorie – per questo vorrebbe tanto comunicarle a qualcuno immagino, per sorprenderlo - possibilmente un qualcuno-femmina. Perché stando alle sue elucubrazioni, supponiamo che sia appena stato “fortuitamente” – come dice lui - lasciato. 
Scambia l’ubriachezza per lucidità. La non-contraddizione per giustezza.
E’ perduto, si appella prima alla razionalità, poi al buon senso (il caro vecchio) e tra poco, se rimaniamo qui a guardare da dietro il nostro ficus benjamin inizierà a invocare “facts, facts, facts” e ci darà la perfetta definizione di un cavallo, magari letta sul menù. 
Ma siamo ancora al ristorante?
Lo "scienziato sociale" che fa capolino dentro di lui ci invita a non spostare mai l’analisi su noi stessi: come pegno, la vita – peggio, la personalità - questo spauracchio della società post-psicanalitica! Ha paura di un vis à vis addirittura col suo specchio.


Gli esseri umani non sono strani: nel frattempo, si è appassionato di fotografia!


dimanche 28 mars 2010

Quadri da un'esposizione




Perché la gente viene alle esposizioni? Per "soddisfare l'idea di mettere insieme arte, festival cinematografici e canzonettistici ecc. [e] creare una specie di rinascente turistico intellettuale [bla]", immagino. Bisognerà spiegarle che non è obbligatorio atteggiare i muscoli facciali per tutto il tempo della visita conferendo al proprio volto un'espressione da bietoloni, inutile tentativo di apparire il più simili possibile a quello che definirebbero "intenso ed intellettuale". Ho una gran voglia di ridere. E poi ci sono le coppie, che danno vita ad un solo tipo di rotazione. Quelli che spiegano, che sentenziano, che interpretano idiozie più o meno didascaliche a voce alta. V'è poi chi le mostre le allestisce, dimostrando di non aver capito nulla dell'opera che espone alla pubblica incompresione - facendole subire una doppia violenza - e che nonostante questo sembra starsene lì immobile (o quasi, nel caso di un "mobile") e sorridere silenziosamente, osservando gli spettatori con la coda dell'occhio (ovunque essa si trovi in un'opera d'arte). Per un attimo ho seriamente pensato ci fosse un quadro sopra la mia testa, alle mie spalle: tutti si arrestano - vedo i loro piedi mentre scrivo - e guardano. No, non c'è - tiro un sospiro di sollievo. Ma no, ecco che arriva subito un altra coppia! E il giro ricomincia.

mercredi 6 janvier 2010

Vorrei solo una camicia azzurra


Ci sono persone con la stessa faccia di altri milioni di persone, non semplici sosia, insiemi enormi di geni dominanti, uguali. Forti e brutti. Ragazze che hanno la faccia uguale a quella delle loro madri. La bocca, le guance, la fronte, il mento. Si vede. C'è gente poi che ha la faccia fatta per la felicità, con una faccia così non potranno mai essere infelici. Può essere infelice solo chi ha conosciuto la felicità e non ha una faccia del genere. Cosa c'è di male? Niente, niente di male. Chi vorrebbe poter essere infelice?! E' incredibile quanto possa influenzare un istante la... Ho una passione per i profili importanti, ingombranti. Scarpa, Adrien Broody. Volevo far finta di essere stupida, per lo meno leggera. E invece ancora una volta braccialetti di ghisa a polsi e caviglie. Voglio una forchetta, un'arricciaspiccia, di quelle scadenti, facili da piegare, da portare come ornamento, o da usare per pettinarmi i capelli, che cresceranno, si annoderanno, cose così. Munari. La sirenetta - nuda, liscia, bagnata - su quello scoglio, inerme - davanti agli occhi di tutti quei brutti turisti abbarbicati sul lungomare e sotto le macchinine fotografiche degli altri che si sporgevano dal barcone- con dietro ciminiere e rotori, mi ha gettato addosso una tristezza strana. Comprai allora noccioline caramellate: calde, tanto dolci che dopo che se ne sono mangiate due brucia la gola. La vecchietta, invecchiata lì con zucchero, gusci, monete e cucchiaio, lì da sempre - a vedere la schiena e la spalla di una statua lontana da tutti - mi disse di non svalutarmi, che è il valore che noi per primi ci diamo che colgono poi le altre persone. Tornai indietro, aspettando l'ora giusta. Guardando l'acqua e la sera del nord.

il mio album

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