Quando penso alle lavagne
mi viene in mente quella drammaticamente statica del liceo, i gessi che
cadevano di mano alla professoressa di matematica e quelli che consumava - fino
a graffiare con le unghie l'ardesia – quella di lettere. Poi c’era stata la
lavagna del gabinetto di fisica (sì,
si chiamava proprio così, né più né meno: littoriamente), il secchio che
la Lehrerin di tedesco usava per bagnare la spugna-cancellino
e in fine la lavagna di solfeggio, coi righi sopra (5x4=20).
E’ una cosa, l'armonia,
che chiunque sia un minimo sveglio imparerebbe in venti minuti, aveva detto una
volta Varèse a Cage, o Cage a Varèse, poco importa, non vi spaventate, in
questo tipo di operazione variando l'ordine degli addendi il risultato non
cambia.
Mi rivedo a fissare - il
mento sui pugni - quella lavagna (poi l'orologio, il muro, il pianoforte, la
porta – la porta!) e i contorni di quei bozzetti che si riempivano fino a
diventare – il più delle volte - palline bitorzolute. Stratificazioni di
segni, saperi invisibili e
sedimentati - come la roccia che li ospita - e il cancellare, per
una volta più importante dello scrivere.
E il mio insegnante
cancellava, cancellava: non gli piacevano mai quei cerchietti bitorzoluti che
uscivano dai suoi gessi bianchi. Aveva gomme schierate su tutte le matite,
indizio sufficiente a farmi sospettare di essere un seguace di Schönberg (un
altro famoso cancellatore). E in tutto questo, ogni tanto avvertivo qualcosa di
sbagliato, di stridente, di anacronistico e quasi inutile.
Perché non provare allora a
mettersi in bocca quei suoni senza leggerli, ma pronunciandoli seguendo un
discorso coerente - non in tema di struttura, ma di linguaggio? Rispondere a
nota con nota, a ritmo, incalzando quel respiro necessario nella musica quanto
nella vita? Improvvisare: reagire e dare uno stimolo, un impulso, fino ad
arrivare alla sintassi jazzistica (per lo meno di un certo tipo di jazz – di
quel jazz "superato", standard, normale, quello di tutti quanti che
lo vogliono fare) - non meno di quella "classica" (o se proprio
vogliamo "colta") - che segue l'andatura
binaria degli scacchi. Come scrisse Cage (a proposito di Jasper Johns):
“Ci sono diversi modi per procedere in una partita. Uno è ritirare una mossa
quando diventa evidente che fosse sbagliata. L'altro è accettarne le conseguenze,
per quanto devastanti.” E questo è valido per le parole, le note, l'armonia, le
battaglie e tutti i massimi sistemi, la morte, le piccole americane, le corse
d’auto, i concerti per clarinetto, la polizia, le pin-up, i romanzieri,
Humphrey Bogart, Picasso, i fotografi italiani, gli anarchici, i magnetofoni,
le avventure, l’amore, i Campi Elisi, la paura - e dio creò - la vita, fino
all’ultimo respiro.
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