Va revoir les roses. Tu comprendras que la tienne est unique au monde.
Tu reviendras me dire adieu, et je te ferai cadeau d'un secret.
Le Petit Prince / Saint Exupéry
Nutro una particolare avversione verso i Mr. Gradgrind in genere, ma questa volta il modo di spiegare un nome diventa così semplice, spontaneo - naturale, è il caso di dire - che merita di essere riportato.
«Che cos'è un giardino? Un recinto con al centro un fiore.»
Questo l'archetipo, questa l'iconografia.
Un giardino è una collezione di piante, una raccolta di oggetti viventi - oltre che vivi. Si colleziona per avere qualcosa che è lontano - raro, difficilmente raggiungibile - per poterlo avere vicino, a portata di sguardo e di mano. C'è qualcosa di voyeuristico nel raccogliere, catalogare, accumulare cose, siano esse piante, opere d'arte o chincaglierie - a maggior ragione se l'oggetto in questione è un fiore. Il primo museo naturale, istituito dal bolognese Ulisse Aldovrandi, non a caso fu chiamato "teatro naturale".
Scienziati, botanici, astronomi, topografi e geografi in qualità di plant hunters, partivano per spedizioni che potevano durare anni - o tutta la vita, in caso di febbri e malarie - in cerca di nuove specie, anche fungendo da mera copertura ad azioni coloniali. Nel Seicento la febbre dei fiori, la tulipomania, è stata la prima bolla speculativa documentata nella storia del capitalismo. La domanda di bulbi raggiunse un picco così elevato che ogni singolo pezzo raggiunse prezzi inimmaginabili. Il bulbo più famoso - perché di bulbi si trattava (non ancora di fiori) e quindi di investimenti ad alto rischio - (il Semper Augustus), fu venduto per 6000 fiorini: più de "La ronda di notte" di Rembrandt. All'epoca corrispondenti a una grande quantità di animali da stalla, otri d'olio, botti di vino e birra e svariate tonnellate di grano - tutto per un fiore, «my kingdom for a [flower]!»
La Passiflora - o Flos Passionis - era usata dai padri colonizzatori per indottrinare le popolazioni indigene: un utilissimo modello allegorico della passione di Cristo. I cinque petali e i cinque sepali rappresentano gli apostoli (eccetto Pietro e Giuda), i filamenti la corona di spine, i cinque stami le ferite e i tre stigmi i chiodi nella croce. A questa pianta piacciono i numeri dispari, il tre e il cinque. In Giappone, ironia della sorte, è invece stata assunta come simbolo dei giovani omosessuali.
Questi fiori della lontananza - di cui non esistono specie europee o africane, che vanno dal bianco al violetto attraversando tutte le sfumature dell'iride, ma rifuggendo dostoevskijanamente il giallo - ci si mostrano come un variabile tirassegno concentrico, ipnotico per gli impollinatori. Maurizio Vecchia li cerca, ricerca, raccoglie e protegge nel suo giardino da quasi vent'anni, da quando lesse il libro "I frutti tropicali in italia", scritto da Guglielmo Betto - profusore di semi preziosi. Non venderebbe mai i suoi ibridi (tra cui la Fata Confetto) e la sua bellissima favola contemporanea non può che ricordarcene un'altra:
ho sentito parlare della rappresentazione simbolica della passiflora pochi giorni fa, da parte di un missionario che lavora in ecuador.
RépondreSupprimer"indottrinare" è un eufemismo.
hanno fatto il lavaggio del cervello a quelle popolazioni.
e la cosa procede ahimè ancora oggi.
non immaginavo: il cattolicesimo non smetterà mai di stupirmi.
RépondreSupprimerparlandone si aprirebbe - temo - un discorso che - oltre a tendere a infinito - mi farebbe cattivo sangue, quindi preferisco rimanere sui fiori (che al più sono tossici) e sui collezionisti... e cercare di ricordare in quale diavolo di libro avevo letto di tutte quelle casse di tulipani, ma forse era Baricco, e forse era seta ed erano casse di qualcos'altro e a quel punto non mi interesserebbe più, quindi preferisco continuare a non scoprirlo.